Aprire la Partita Iva in Italia ma Residente all'Estero. Si può?

Sempre più persone residenti all'estero chiedono informazioni per aprire la partita iva in Italia.

Cosa dice la normativa?
Tra i requisiti per aprire la partita Iva nel nostro paese, troverai certo che devi essere residente in Italia. L' interpretazione letterale non lascerebbe dunque alcun dubbio nel caso di una persona straniera residente nel proprio paese ma che voglia esercitare la professione in Italia. Ma il concetto di residenza è piuttosto ampio e articolato.

Nel caso infatti in cui venga costituito il domicilio fiscale nel territorio italiano, la presenza della residenza in un paese terzo  non è di ostacolo a considerare il contribuente quale soggetto passivo IVA, come un soggetto residente

Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate con la risposta a interpello n. 429 del 16 agosto 2022
Nel caso di specie, non v'è dubbio che l'intenzione dell'interpellante sia quella di costituire nel territorio italiano il centro dei propri interessi, ed ivi svolgere l'attività lavorativa. Pertanto, la circostanza che nel territorio italiano venga costituito il domicilio fiscale, pur in presenza della residenza in un paese terzo  non è di ostacolo a considerare l'istante quale soggetto passivo di imposta alla stregua di un soggetto residente

L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato questa risposta all' interpello n. 429 del 16 agosto 2022 in tema di soggetto non residente e apertura partita IVA, specificando che:

Ai sensi dell'art. 9, paragrafo 1, della direttiva IVA si considera "soggetto passivo" chiunque esercita in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un'attività economica, indipendentemente dallo scopo e dai risultati di detta attività.
Con particolare riferimento alle prestazioni di servizi - cui va ricondotta l'attività professionale che l'istante intende svolgere - l'articolo 7, comma 1, del decreto IVA, alla lettera d) prevede, ai fini IVA, che «per "soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato" si intende un soggetto passivo domiciliato nel territorio dello Stato o ivi residente che non abbia stabilito il domicilio all'estero, ovvero una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di soggetto domiciliato e residente all'estero, limitatamente alle operazioni da essa rese o ricevute. Per i soggetti diversi dalle persone fisiche si considera domicilio il luogo in cui si trova la sede legale e residenza quello in cui si trova la sede effettiva;». In linea generale, dunque, chi presta attività professionale si considera soggetto passivo IVA in Italia se: 
1) è domiciliato in Italia, anche se residente all'estero;
2) è residente in Italia e non è domiciliato all'estero;
3) è domiciliato o residente all'estero ma possiede una stabile organizzazione in Italia, con la conseguenza, che, in presenza di uno di questi elementi, le prestazioni rese si considerano, in linea generale, effettuate in Italia.
Ai fini dell'imposizione sul reddito, a sua volta, l'articolo 2, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), assimila ai cittadini residenti le persone fisiche che «[...] hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile», mentre, l'articolo 58 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, prevede che le persone fisiche «[...] non residenti hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più comuni, nel comune in cui si è prodotto il reddito più elevato ». Al riguardo, ai fini della definizione dei concetti di residenza e domicilio è utile richiamare la circolare n. 304 del 2 dicembre 1997, con cui il Ministero delle Finanze ha chiarito che «[...] l'aver stabilito il domicilio civilistico in Italia ovvero l'aver fissato la propria residenza nel territorio dello Stato sono condizioni sufficienti per l'integrazione della fattispecie di residenza fiscale, indipendentemente dall'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente». In particolare, come chiarito dalla citata circolare, «La residenza è definita dal codice civile come "il luogo in cui la persona ha la dimora abituale". Pertanto è possibile affermare che essa è determinata dall'abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, sicché concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo sia l'elemento soggettivo della volontà di rimanervi, la quale, estrinsecandosi in fatti univoci evidenzianti tale intenzione, è normalmente compenetrata nel primo elemento (Cass. 5 febbraio 1985, n. 791). (...) la giurisprudenza prevalente sostiene che il domicilio è un rapporto giuridico col centro dei propri affari e prescinde dalla presenza effettiva in un luogo (Cass. 29 dicembre 1960, n. 3322). Esso consiste dunque principalmente in una situazione giuridica che, prescindendo dalla presenza fisica del soggetto, è caratterizzata dall'elemento soggettivo, cioè dalla volontà di stabilire e conservare in quel luogo la sede principale dei propri affari ed interessi (Cass. 21 marzo 1968, n. 884).»
Alla luce della circolare sopra citata, risulta evidente che:
è irrilevante l'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente ai fini dell'individuazione del soggetto passivo d'imposta in Italia; 
la residenza è intesa quale res facti, poiché non può prescindere dall'insistere sul luogo, con relativa stabilità, del soggetto e l'elemento intenzionale assume rilevanza secondaria;
il domicilio è, invece, definito res iuris in quanto situazione giuridica caratterizzata dalla volontà di stabilire e conservare in un determinato luogo la sede principale dei propri affari ed interessi (vedi in questo senso la sentenza della Corte di Cassazione del 21 marzo 1968, n. 884).